L’INTERVISTA

Paola Mela (foto), imprenditrice del cashmere, analizza la situazione del comparto moda. Con un occhio attento ai cambiamenti della tecnologia e al mercato del lavoro.

Mela, cosa pensa degli attuali percorsi di digitalizzazione e informatizzazione delle imprese?

«Un uomo senza mestiere è schiavo di tutti disse una sentenza greca. Un filosofo contemporaneo afferma, in maniera paradossale, ma non tanto, che l’uomo del futuro non avrà bisogno delle mani: basterà un dito per digitare. Stiamo perdendo la manualità che significa apprendere, fare, trasmettere conoscenza e competenza. La smaterializzazione dell’economia e la informatizzazione rende obsolete progressivamente la memoria e il ricordo: si vive solo il presente».

Il suo è un pensiero in antitesi rispetto alle attuali tendenze.

«È così. L’accesso ai social consente di acquisire informazioni, ma non il sapere. Le crisi progressive e devastanti dovrebbero costringerci a ripensare il modello economico, sociale e culturale. Il governo degli algoritmi ci risparmia la fatica di ragionare e di scegliere. Le automazioni sostituiscono la mano dell’uomo, ma anche la sua identità e autonomia. Anziché liberare l’uomo dalla fatica (lo strumento come prolungamento della mano diventa padrone): è l’uomo che segue le istruzioni programmate da altri con strumenti di cui conosciamo l’uso, ma non il funzionamento».

Viste le premesse, come si colloca all’interno dell’attuale sistema finanziario il comparto moda?

«Il sistema finanziario, con le delocalizzazione e la globalizzazione, ha spostato le produzioni, anche strategiche, verso paesi a più basso costo e con meno tutele, devastando le economie occidentali. La risposta non può essere l’assistenzialismo per consentire i consumi. Occorre mettere in campo politiche che rimettano al centro il lavoro, la dignità e l’identità. Qualche segnale si può cogliere nel comparto della moda: il recupero della qualità manifatturiera, dell’artigianato e delle culture locali. Il problema è che questa tendenza non trova riscontro in un sistema produttivo bombardato e quasi raso al suolo dalla globalizzazione speculativa, di breve respiro.

Cosa cerca il mercato, oggi?

«Per poter competere, soprattutto sulla qualità, occorrono profili professionali ormai quasi scomparsi, sia per dinamiche generazionali, sia per processi di semplificazione produttiva. Le profezie di un futuro senza fabbriche, inteso come lavoro alienante, hanno orientato verso forme di precarizzazione terziaria, senza crescita professionale e con fungibilità dei lavoratori. Una società che alle più o meno sostenibili differenze va sempre più sostituendo forme di esclusione ed emarginazione. Basti pensare al ruolo delle donne, che anche forme apparenti di emancipazione, quali lo smart working, rinviano ad attività di cura, anziché di crescita professionale, specie se madri».

In che modo possono intervenire le istituzioni?

«È necessario che la politica proponga e promuova progetti che ridiano dignità e prospettive di lavoro nei settori nei quali storicamente e culturalmente l’Umbria ha conosciuto, e faticosamente conserva, eccellenze legate proprio alla alta capacità manifattura e artigianale. Progetti finalizzati a investire sul capitale umano e professionale, che consentono alle imprese di legarsi nel territorio da cui traggono i fattori competitivi.

Quindi per Paola Mela anche recupero delle tradizioni e del territorio?

«Recuperare le tradizioni non significa un nostalgico ritorno al passato. Significa soprattutto riannodare i fili di un sapere collettivo, di un patrimonio del territorio e delle locali comunità che ha costituito il vero fattore distintivo, identitario, e perciò, competitivo».

Luca Benedetti

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