Sfruttamento della prostituzione, eseguite 22 misure cautelari e sequestrate 11 strutture

di Francesca Marruco
PERUGIA Avevano talmente tanti soldi contanti che li mettevano pure in un freezer nella loro casa di Bastia Umbra. Nei viaggi fatti in lungo e in largo per l’Italia i presunti capi dell’organizzazione criminale -una coppia di cittadini cinesi – andavano a recuperare di persona i soldi incassati dalle ragazze che si prostituivano nei vari centri massaggi o negli appartamenti. Tutti acquistati con il fiume di denaro guadagnato sulla pelle di quelle giovani vendute secondo tariffari stabiliti dai loro capi che le spostavano, come merce, da un centro massaggi all’altro, per fornire più “varietà” ai clienti e le facevano alloggiare direttamente nei centri, negando loro qualunque tipo di libertà di movimento. In manette ieri sono finite diverse persone, tutte di origine cinese, ma stabilmente presenti in Italia da anni. In particolare, il gip di Perugia, Natalia Giubilei, ha emesso 22 ordinanze di custodia cautelare nei confronti di altrettante persone. Nel corso dell’esecuzione di ieri da parte dei carabinieri, 4 sono risultate irreperibili. Degli altri 8 sono stati portati in carcere e 1 ai domiciliari. Sempre ieri sono stati eseguiti anche diversi sequestri: i sigilli sono stati messi a 11 centri massaggi cinesi, di cui sei in Umbria (tra le zone di Perugia, Bastia, Foligno e Città di Castello). Sequestrati pure quattro appartamenti, quattro automobili e numerosi conti correnti. L’inchiesta è nata nel territorio di Assisi tre anni fa. Secondo quanto emerso dall’indagine, i carabinieri della Compagnia di Assisi allora guidati dal colonnello Marco Vetrulli hanno sgominato un’associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento e allo sfruttamento della prostituzione, favoreggiamento della permanenza e della collocazione di manodopera di clandestini, riciclaggio delle attività illecite e anche la presentazione di false documentazioni alle Autorità per ottenere il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno. L’indagine parte da segnalazioni di cittadini e da attività informative sul territorio. I carabinieri capiscono che in quel centro massaggi si va oltre. Il via vai di clientela soprattutto maschile, molto spesso anche non poco in là con gli anni, fornisce le prime conferme. I “massaggi” sono infatti prestazioni sessuali. Vengono sentiti i primi clienti che confermano tutto e i militari della compagnia- coordinati dal sostituto procuratore Manuela Comodi – vanno avanti nell’inchiesta. Non si limitano a chiudere il centro massaggi di Bastia – il primo aperto dalla banda – ma iniziano a seguire i titolari del centro. Dalle intercettazioni si comprende che il giro è molto più ampio. I due vanno nelle altre regioni e comprano cash centri massaggi per poi adibirli a case a luci rosse. Li si sente parlare anche di 100 mila euro portate in contanti. L’attività è fiorente, i telefoni sono bollenti. Ogni volta che comprano un nuovo centro e iniziano a pubblicizzarlo ricevono centinaia di richieste. C’è anche qualche cliente poco cauto che chiede direttamente le tariffe per le varie prestazioni sessuali. Ma, al telefono, i capi che gestiscono le agende delle ragazze tagliano corto per non essere scoperti: venite al centro e poi vediamo. Dalle indagini dei carabinieri emerge che a seconda delle richieste, i clienti venivano indirizzati nei centri massaggi o negli appartamenti, comprati coi soldi della prostituzione. Le inserzioni online, raffiguranti donne seminude, lasciavano pochi dubbi sulla vera natura di quei centri massaggi. Sempre tramite internet le ragazze venivano adescate in Cina. Poi una volta in Italia passavano per Toscana o
Lombardia e poi venivano indirizzate alla loro meta finale. L’inchiesta ha riguardato anche le province di Lodi, Verona, Bologna, Firenze, Prato, Arezzo, Fermo, Ascoli Piceno, Teramo e Brindisi. In ogni centro c’era una maitresse che incassava i soldi delle prestazioni delle giovani e poi li consegnava ai capi e coordinava le attività per fissare gli appuntamenti. La giornata e le prestazioni di ogni ragazza venivano controllate in modo che ognuna producesse un tot di denaro al giorno. Una volta in Italia le giovani venivano messe al corrente su cosa avrebbero dovuto fare sia coi clienti da soddisfare che con eventuali poliziotti o carabinieri. Con questi ultimi -nel corso del tempo all’inchiesta hanno contribuito anche i militari del Nucleo ispettorato del lavoro – il comportamento da tenere era semplice: dire che non si capiva una parola di italiano e tenere la bocca chiusa. Ora con l’intervento dei carabinieri – che ierihanno eseguito le misure cautelari anche a Lodi e Brindisi – potranno forse tornare padrone del loro destino.

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