di Gabriela Stangoni

Link all’articolo nel sito https://progettobastia.it/2023/05/disabilita/

Leggendo le preoccupazioni dell’Amministrazione Comunale per l’inizio dei lavori pubblici che, grazie ai fondi del PNRR, porteranno ad importanti ristrutturazioni nel centro storico di Bastia umbra, ho sentito la spinta a comunicare a riguardo, qualche idea, da semplice cittadina che non rinuncia ad interessarsi alla vita pubblica.

Da diversi anni non sono più residente a Bastia, ma è la città in cui sono nata e vissuta, dove ho lavorato attivamente sempre a contatto con le persone. Sono a conoscenza delle diverse riunioni effettuate per coinvolgere la popolazione sui progetti che riguardano da vicino il presente e soprattutto il futuro di una città e dei suoi abitanti.


Lavori di tale ampiezza necessitano di finanziamenti importanti che non sempre sono a disposizione e che ora, grazie alla Europa, anche una città come Bastia, all’interno di una piccola, ma importante regione italiana come l’Umbria, può usufruirne.

Progetti inclusivi di ogni bisogno
Mi piacerebbe a riguardo, che le preoccupazioni dell’Amministrazione Comunale non riguardassero solo l’impatto dei lavori sulle attività dei commercianti del centro storico, comunque lecite e condivisibili, ma fossero più ampie, riguardassero le persone che potranno vivere pienamente il cuore della città, per troppo tempo relegato a ruolo di parcheggio di mezzi di trasporto.
Bastia ha la fortuna, nella vallata in cui si trova, tra Assisi e Perugia, di essere tutta in pianura e quindi molto fruibile dai suoi abitanti in tutte le età della vita. Mi piacerebbe che i progettisti pensino anche alle persone che nascono, vivono, lavorano, invecchiano e alle loro necessità di vita sociale e di inclusione.
Mi riferisco alla valutazione della condizione di Disabilità a cui, quasi tutti, invecchiando, siamo destinati e il cui concetto di base ha subito, in pochi decenni, una profonda trasformazione.

La disabilità come responsabilità sociale
Al modello medico/individuale che considerava la persona con diversità funzionale responsabile della condizione di mancanza di pari opportunità a causa della sua condizione di salute, si è sostituito un modello che definisce la disabilità prima di tutto una “responsabilità sociale.”
Questa rivoluzione è culminata nella Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità (CDPD, 2006) che definisce la disabilità come “Il risultato dell’interazione tra le persone con menomazioni e le barriere comportamentali e ambientali che impediscono la loro piena ed effettiva partecipazione alla società su base di uguaglianza con gli altri”.

La Convenzione riconosce che la disabilità non è una condizione soggettiva, derivante da una limitazione delle capacità funzionali di una persona, piuttosto è una relazione sociale tra le caratteristiche delle persone e il modo in cui la società ne tiene conto. Le persone possono muoversi su sedia a rotelle, orientarsi con un cane guida, comunicare con il linguaggio dei segni senza difficoltà (disabilità) se il mondo con il quale interagiscono tiene conto delle loro diverse caratteristiche.

Quando la società ha costruito edifici e ambienti, ha prodotto beni e merci, ha disegnato servizi e procedure, quando ha deciso politiche e programmi di sviluppo spesso si è dimenticata delle persone con determinate caratteristiche ed ha così generato ostacoli, barriere e pregiudizi che rendono disabili determinati cittadini.
Dal modello medico/individuale discende una visione pietistica, caritativa e negativa sulle persone con disabilità, che devono essere solo curate e assistite, essendo incapaci di agire in autonomia. La CDPD, invece, seguendo il modello sociale di disabilità basato sul rispetto dei diritti umani, ha inquadrato la condizione di queste persone nel campo dei diritti umani: le responsabilità della condizione delle persone con disabilità ricadono su chi, stato o cittadino, le discrimina, su chi non garantisce una parità di opportunità nell’accesso a diritti e servizi, su chi non rimuove le barriere architettoniche, comunicative e di orientamento che impediscono la piena partecipazione a tutti e tutte.

Un diritto umano
Ogni volta che si limita la partecipazione con discriminazioni e ostacoli si viola un diritto umano. La visione negativa che la società ha ereditato da trattamenti ormai superati (segregazione in luoghi speciali, limitazione nell’accesso a diritti e servizi) ha prodotto uno stigma sociale che va rimosso costruendo società inclusive e partecipative. Non sono le persone da riabilitare, bensì è la società da riabilitare e i suoi attori a dover essere abilitati per offrire a tutti pari opportunità e non discriminazione.

Si possono costruire quindi soluzioni che permettano alle persone con determinate caratteristiche di partecipare pienamente alla vita sociale.

Con queste premesse mi augurerei che la progettazione di una struttura ad uso pubblico possa tenere presente concetti come l’accessibilità, diversità, disabilità, inclusione sociale, riabilitazione e abilitazione, universal design o progettazione universale, vita indipendente, integrazione-inclusione.

Recapiti

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