di Sofia Coletti
BASTIA — «Un mistero luminoso e tragico, una forza totalizzante, quasi impossibile da definire e spiegare con le parole». Ecco «Giovanna d’Arco» nella trascinante e coinvolgente rilettura di Monica Guerritore. Una delle signore indiscusse del teatro italiano sarà in scena domani sera alle 21 al teatro Esperia con uno spettacolo sperimentale, «una sorta di laboratorio creativo che si evolve e si approfondisce strada facendo». Al di là dell’immagine tramandata, oltre la leggenda e la tradizione, Giovanna d’Arco appare in una nuova dimensione, fatta di cuore, forza e passione, di cristianità carnale e di utopia. L’appuntamento, il secondo della stagione di prosa organizzata dell’Atmo e del Comune (prevendite allo 075/8000556; 88011613), è dominato, divorato dalla presenza magnetica della bellissima attrice che in palcoscenico sarà affiancata da musiche e proiezioni video di grande impatto e potenza evocativa.
Come nasce la Giovanna d’Arco di Monica Guerritore?
«Con un laboratorio che ho avuto la fortuna di fare ad Anagni, là dove è nata l’Inquisizione. Per affrontare Giovanna ho capito che dovevo percorrere tre strade, aprire tre porte. Lei rappresenta il mondo triplex, racchiude la mente, il corpo fisico e l’anima intesa come divino».
Per questo si è basata su tre fonti tanto diverse?
«Ho utilizzato “Gli Atti del Processo” di Elsa Scudieri per esprimere la carnalità e la verità storica, i versi bellissimi della poetessa Maria Luisa Spaziani per raccontarne il cuore mentre la follia, la chiamata divina, la vocazione sono espresse dal “De Immenso” di Giordano Bruno. Ma poi ci sono richiami visivi e sonori a Galileo Galilei, Martin Luther King, Che Guevara, Freddy Mercury. La vocazione che diventa utopia rivive in altre storie, in altre vite altrettanto brevi e luminose».
L’utopia come base di tutto?
«Necessaria per capire in pieno l’idea di Giovanna. Attraverso la colonna sonora e le video proiezioni nello spettacolo entrano altre figure che sanno raccontare la stessa utopia, lo stesso urlo di libertà, brevissimo e luminosissimo. C’è un impatto emotivo molto forte, con sensazioni ricercate e potenti».
E il risultato in scena?
«Un allestimento in libertà, senza pretese di regia o di sceneggiatura, un esperimento fatto insieme al pubblico. Dirò di più, non mi interessa neppure se ogni sera recito bene o male. Perché seguo un’ispirazione divina, una ricerca assoluta dell’infinito di cui oggi non si parla mai. Per me è una necessità».
Un ruolo che sente profondamente?
«Giovanna mi coinvolge moltissimo, l’affinità è totale. Perché si incarna in altre figure ed è in tutti noi: è la forza di andare dietro la propria chiamata, di seguire la voce».
E dopo questo spettacolo cosa farà?
«Sono talmente presa da Giovanna che non riesco neanche a pensarci. Forse tra qualche mese, quando ci sarà il silenzio, si aprirà una nuova porta. Io sono così, cambio in continuazione e sono curiosa di vedere come sarò tra sei mesi».
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