TRE BORGHI e cittadine dell’Umbria accomunati dalle tracce di un archistar? Solomeo, Bastia Umbra e Corciano: è là che ha lasciato la sua impronta l’architetto italiano più celebre al mondo, Renzo Piano. Si tratta di tre esempi di «casa evolutiva», un’abitazione modulare ampliabile spingendo le pareti. A Solomeo c’è il prototipo in scala uno a uno, a Bastia la prima variante con parti in legno e a Corciano il modello quartiere con il «Rigo». E’ già strano rendersi conto di avere un pezzo di avanguardia architettonica, mai più replicata altrove, proprio nel ‘cuore verde’. La materia è tanto interessante che Paolo Belardi, professore di Ingegneria civile e ambientale all’Università di Perugia, l’ha affidata come oggetto di tesi a un suo laureando, Carlo Rossi. Una ricerca, quella del giovane folignate, che ha messo in luce tutti gli elementi di innovazione dell’idea sviluppata dall’allora «Studio associato Piano e Rice». Un progetto che introduce elementi di risparmio energetico, modularità, montaggio rapido e autocostruzione allora impensabili in Italia, visto che in origine era destinato all’edilizia post-sisma nel Friuli del ’76.
La storia: in Umbria, Piano collabora prima con l’impresa di prefabbricati «Vibrocementi» (ora «Generale Prefabbricati») per la costruzione del prototipo rimasto intatto a Solomeo, a fianco degli stabilimenti dell’azienda. Poi, una volta ricevuta solo la menzione per il concorso in Friuli, è presumibilmente a Bastia. Lì la struttura deve accogliere persone con ‘difficoltà’ di relazione e il progetto si arricchisce di adattamenti mirati alla riabilitazione. Quell’unità familiare vi ha da allora vissuto per 30 anni, fino al trasferimento all’agriturismo ‘La Contessina’, nel giugno scorso: col tempo, infatti, si erano avute infiltrazioni dal tetto che rendevano invivibile l’ambiente. «La struttura poteva durare minimo 15 anni — aggiunge Rossi — e molto più a lungo, con corretta manutenzione». Se per il quartiere di Corciano il problema della sopravvivenza non si pone, a Solomeo la «Generale prefabbricati» è intenzionata «a risistemare il prototipo disabitato da tempo — ha annunciato Paolo Pecetti — Grazie alle sollecitazioni dell’Università ci siamo resi conto di cosa abbiamo per le mani. Basterà rinfrescare lo stabile, che è integro».
Anche i moduli di Bastia non dovrebbero aver bisogno di grandi interventi per tornare nuovi, ma a oggi versano in stato di abbandono. Tutt’intorno l’area dell’ex tabacchificio Giontella è in fase di riconversione. Il Comune non ha intenzione per ora di «porre il vincolo artistico», come ha confermato il sindaco Stefano Ansideri. E la Asl 2, proprietaria della particella di terreno e dello stabile, fa sapere che è ancora in fase di verifica del sito. Più deciso invece è Davide Baldelli, progettista della «Costruzioni Baldelli srl» di Terni, l’azienda che ha in mano la ristrutturazione del Quadrilatero: «L’ex casa famiglia è edilizia prefabbricata, salvarla sarebbe come conservare una forchetta di plastica perché disegnata da Kartell. La nostra sarà piuttosto una risistemazione generale del Quadrilatero: al posto degli essiccatoi ci saranno dei parcheggi, mentre per le ex-piscine Eden c’è un’ipotesi di supermercato di piccole dimensioni. Del resto abbiamo atteso tanto per il piano di riqualificazione, con un gran peso economico, ma ora siamo in piena sintonia con il sindaco». Dulcis in fundo il parere che nessuno sembra aver considerato finora. «Saremmo lieti di sapere qualcosa in più sulle condizioni delle strutture — ha spiegato dall’ufficio di Parigi della Fondazione Piano, Francesca Bianchi, segreteria della moglie dell’architetto —. E’ un periodo di cui abbiamo pochissima memoria. Ma non ci era mai capitato di essere coinvolti in un’ipotesi di demolizione».
Marta Gara

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comments (11)

  • Sapere che c’è gente che si preoccupa che venga demolita tanta importante espressione architettonica “Griffata”così composta : due scatoloni (Cubi) in pannelli di cemento armato nei due lati, e gli altri due sono vetrate con sportelloni per oscurare l’interno, un interno minimale, essenziale, con uno spazio di vivibilità ai minimi termini, “unità abitativa intelligente”????? Una scatola indegna, per farci vivere l’uomo; elemento da rapportare ad un modulare di un allevamento di polli in batteria, praticamente una “vergogna abitativa”. Comunque, (mio algrado) sono daccordo con coloro che non vogliono demolire questo “segno architettonico di Renzo Piano ” solo per un motivo: salvaguardare questo spazio ad ogni costo, per impedire ai “mattonari” di realizzare un altro tremendo “ecomostro” che eliminerà l’ultimo pezzetto di verde in una zona oramai perduta.

  • Questi “gabbioni da pollaio” demoliteli il prima possibile.
    Se questa è alta architettura, la mia cuccia del cane è una scultura di Michelangelo.
    Sarebbe stato meglio salvare la piscina.

  • Ma quale vincolo artistico, toglierla di mezzo subito e farci qualcosa di utile per la comunità. Per esempio dei giardini pensili (coperti in parte) aperti a tutti e per chi vuole andarci, mantenere la piscina a pagamento, magari solo per i bambini, con giochi acquatici che in parte sono già presenti.

  • Avrei voluto che chi governava Bastia fino a ieri si fosse opposto con tutte le sue forze alla demolizione della piscina perchè quello era un vero pezzo unico della nostra vita passata, un pezzo unico e con tanti ricordi, tutte queste polemiche ed articoli sui giornali fanno veramente rabbia ad una Bastiola che ha visto la sua città cambiare solo in peggio, togliere i “cubi” in questione per come sono ora ci farebbe solo piacere.

  • Di tutte le cose perdute a Bastia il “problema Renzo Piano” è sicuramente quello che lascerà solo indifferenza, pochissimi “eletti” sanno quale capolavoro ci ha donato,
    pochissimi sanno apprezzare la qualità architettonica, l’idea di “modulo abitativo intelligente” ???………..forse nello studio di tanta qualità abitativa si è dimenticato che dentro ci vivevano delle “persone con dei problemi” e non delle “bestie”….La vera vittoria sul cattivo gusto, sarebbe trasformare in un ” Parco/Giardino” il tutto, con una targa a ricordo, di “Renzo Piano”.

  • Li hanno sempre chiamati, i bussolotti,caldi in estate e freddi in inverno con quella copertura a tetto!!,per non dire poi della infelice scelta di ubicazione,che faceva ballare sino al mattino i pazienti ricoverati.E sempre bussolotti sono le abitazioni multicolori che deturpano la collina di Corciano.Posso comprendere che con gli anni Renzo Piano sia diventato un “architetto”di fama mondiale,che sia un modulo abitativo “avvenieristico”ma in quanto tale e per le idee sopra esposte l’ unico rimedio è la demolizione.

  • Sicuramente il gusto visivo di questi edifici cozza e non poco con il mio personale senso della bellezza, tuttavia essi devono essere preservati non per le loro doti estetiche ma per ciò che rappresentano, piacciano o meno infatti essi sono un espressione di un idea di vita, un simbolo anche artistico di un epoca, di uno stile che ha coinvolto il mondo intero e non solo, per me sono anche un pezzo di quella Bastia di un tempo che sempre più spesso viene nascosta alla storia futura per far spazio a stancanti “vespai abitativi” privi questi si di ogni bellezza. Un saluto.

  • Sono orribili…….. non ci sono scusanti!!!!!!!!

  • Non sono belli e neanche funzionali, questo è fuori discussione.
    La soluzione più semplice sarebbe la demolizione, ma facendo questo corriamo un rischio: quello che ha attentamente descritto con buon senso Giuliano Monacchia nelle ultime 3 righe del suo primo intervento.
    Pertanto, mi sento di dire che vanno recuperati assieme all’ area verde di pertinenza del comparto.

  • Perchè tutti coloro che apprezzano quelle scatole non propongono una soluzione per preservarle? Devono però anche dire chi deve spendere e quanti soldi servono. Perchè Oicos e le altre associazioni culturali non propongono una raccolta fondi per acquistare quelle opere d’arte e farci la propria sede? Tutti a ragionare…discutere…pensare… Fate qualcosa di concreto, perchè “le chiacchiere non fanno frittelle” . Se vi piaccioni compratele, fate un mutuo. Neanche un euro delle mie tasse deve essere speso per preservare quella bruttura se pur firmata da Renzo Piano.

    Ad una biennale qualcuno espose degli escrementi definendoli opera d’arte, ma sempre di “merda” si trattava e vorrei sapere chi si è portato a casa siffatta arte.

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