II caso Uilta e sindaco preoccupati. Al lavoro solo in 12, dovevano essere 70
BASTIA UMBRA – Donna, quarantaquattro anni, due figli, 25 anni di contributi, un lavoro alla Hemmond che non c’è più, una prova per tornare in fabbrica che non va in porto: chiamata il lunedì e il martedì rimandata a casa. E’ una storia, potrebbero essere cento storie. E’ una storia che rimbalza nella sala ovattata del consiglio comunale dove la Uil ha chiamato a raccolta lavoratori e istituzioni per parlare del sistema moda in Umbria. Aziende che muoiono, posti di lavoro che spariscono, imprese familiari in cui il proprietario si impegna casa pur di resistere ai morsi della crisi, ai cinesi che arrivano e a quelli che verranno. E la Hemmond che sta lì, come totem di un sistema che scricchiola.
Le parole di un nuovo allarme le lancia Giorgio Salucci, segretario provinciale della Uilta. Gli fa eco il sindaco di Bastia Umbra, Lazzaro Bogliari. “Della Hemmond non si parla più. Ma ci lavorano- accusa Salucci – solo dodici persone, solo 4 sono ex lavoratrici e, invece, secondo gli accordi, all’inizio del 2004 la forza lavoro doveva essere di 70 unità. Si deve riprendere la discussione con la Regione. Verificare cosa succede, se il progetto di base è diventato lettera morta”. Qualche metro più in là, il sindaco Bogliari, non usa mezze parole: “L’imprenditore sta bluffando. Non si rispettano le promesse fatte. La vertenza va ripresa in mano”. In platea le donne della Hemmond fanno di sì con la testa. E sanno perfettamente che non solo i grandi (ex) piangono. Che anche i fashionisti piccoli e piccolissimi stanno con l’acqua alla gola. Ancora Bogliari: “Chi lavora nel sottoscala vende casa e ipoteca i beni. A Bastia siamo preoccupati per la situazione dell’occupazione femminile”. L’allarme risuona di fronte all’assessore regionale Ada Girolamini, al direttore di Sviluppumbria Vinicio Bottacchiari, al segretario regionale della Uil Roberto Silvestri e a quello nazionale della Uilta, Edoardo Rossi.
Hemmond come simbolo di un settore che in Umbria conta 2mila aziende e 12mila addetti e che vuoi riprendere fiato. Un po’ tutti al confronto di Bastia hanno sollecitato un modo diverso di fare azienda agli imprenditori. Che si trovano per le mani un grande patrimonio: quello degli addetti in grado di dare valore aggiunto alle produzione umbre. Ecco perché, per esempio, la Uilta propone una tracciabilità obbligatoria dei prodotti e una sorta di etichetta del “full made in Umbria”, etichetta di eccellenza che contraddistingua un buon maglione. Ecco perché si chiede che parta dall’Umbria una mobilitazione istituzionale sulla difesa del made in Italy. Ecco perché il sindacato chiede che si faccia della flessibilità del salario (l’impiego medio nel comparto difficilmente arriva a 9 mesi l’anno) un punto d’eccellenza e non una precarietà costante. Ecco perché si chiede agli imprenditori di non lavorare più per il prezzo (alla cinese) ma sulla qualità. Idee a cui la Regione, ha detto l’assessore Ada Girolamini, vuol dare gambe. Partendo dal polo della maglieria di lusso che può fare da apripista e del un tavolo della moda che tornerà a riunirsi a fine mese.
Luca Benedetti
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