I segreti: passione, cura e grande conoscenza del prodotto e di come trattarlo
di Giovanna Belardi
BASTIA UMBRA Nel panino con la porchetta non c’è solo un ingrediente squisito, ma anche altri che spesso sfuggono ai più. Ovvero maestria, conoscenza della materia prima, degli aromi, capacità di tagliare la carne nel modo giusto, di mixarla perché quel panino dia il miglior risultato di un lungo e accurato lavoro. Insomma, c’è della vera arte che fa la differenza. Questo tocco inimitabile, che rende il prodotto una fantasia di sapori e consistenze, lo descrive con sapienza Luigi Lunghi detto Gigi, 88 anni, ovviamente di Costano, da una vita porchettaro, in pensione ma non troppo. “Artigiano” si definisce lui, e spiega che oggi di porchettari ce ne sono tanti ma di artigiani purtroppo ne sono rimasti pochi. La tradizione coltivata in tanti anni continua nel camioncino che tutti i giorni, mattina e pomeriggio, vende questo straordinario prodotto in piazza del Mercato, a Bastia Umbra. Lo incontriamo nel cuore di Costano, a poca distanza da quello che un tempo era il laboratorio dove per tanto tempo ha prodotto le porchette che hanno conquistato non solo l’area dell’assisano ma anche Perugia, dal momento che Gigi aveva una postazione al mercato coperto e il sabato ne partivano anche tre. Si è fatto conoscere con i suoi prodotti anche in altre regioni e persino all’e stero. Perché al signor Luigi di questo mestiere è piaciuto tutto : “Mi piaceva andarla a vendere, avere il contatto diretto con i clienti, tagliarla. Ma anche quello che c’era prima, scegliere i maiali, perché una volta si sceglievano uno per uno, per prendere i migliori. E mi piaceva anche creare i miei mix di aromi che fanno anche quelli la differenza; poi salare e pepare nel modo giusto. E poi vendere ai miei clienti affezionati”. – Nella porchetta, quella artigianale, cosa è che fa davvero la differenza? Il maiale, ovvio, è la base. Ci vuole una certa caratura, parliamo di un animale da 100-120 chili, maturo, così è più saporito. Poi il condimento, ovvero sale, pepe e i famosi aromi. In tutti questi anni ho cercato di creare un mix speciale che ho migliorato nel tempo. Anche quello è importantissimo. Poi la cottura: ora ci sono i forni elettrici ma le temperature e la resa cambiano rispetto ai forni a legna.- Che doti deve avere il vero porchettaro? Prima cosa gli deve piacere il lavoro. Oggi i porchettari, ripeto, sono tanti, ma noi artigiani siamo rimasti in pochi. Il porchettaro deve possedere l’arte del saper tagliare: una volta la porchetta si faceva con l’osso e se non eri del mestiere non ci riuscivi a tagliarla. Io l’ho rifatta per la sagra, in occasione dell’anniversario dei 50 anni,e saper tagliare è una grande cosa. Bisogna ovviamente essere capaci di lavorare la carne. Insomma il mestiere ci deve essere. – Come è cambiato nel tempo il cliente? Una volta i consumatori chiedevano più sale e pepe, ora invece preferiscono la porchetta più delicata. Poco sale ma anche pochi fegatelli, e poco grasso. Diciamo che oggi i maiali sono più magri, proprio per andare incontro ai gusti dei consumatori. Una volta quando si cuoceva la porchetta nel forno a legna mettevamo le teglie per raccogliere l’unto e con quello si condiva il pane ma serviva anche per trippa, orecchie e zampe che con la scolatura diventavano parecchio saporite. – Qual è il panino perfetto ? C’è a chi piace con la porchetta magra, a chi più grassa. Per me il giusto è grassa e magra. Io ho sempre venduto la porchetta tiepida, altra cosa che fa la differenza. E mi raccomando il pane: deve essere croccante, guai quello all’olio. La porchetta poi deve essere sempre fresca. E’ senza conservanti e quindi anche se dicono che per sei giorni si conserva, per me si cuoce, si compra e si mangia. Così è perfetta, e non diventa stoppacciosa. – Ci sono giovani pronti ad apprendere questo mestiere? Io adesso ho tre ragazzi, tutti paesani, che si occupano del laboratorio e del camioncino che si trova in piazza del mercato davanti all’ex Petrini. Sono bravi, fanno quello che facevo io. Hanno imparato tutto. Ha nostalgia dei tempi passati? No, non ce l’ho perché ne vendiamo tanta. Se ne vendeva meno negli anni ‘70, perché i soldi non c’erano. Dagli anni ‘80 le vendite sono sempre cresciute. Non ho nostalgia in quel senso, invece mi manca molto stare a contatto con la gente, venderla. Ho avuto tanti clienti e mi conoscono tutti , anche a Perugia, ho sempre avuto ottimi rapporti con tutti. Avevo tanti clienti fissi al Mercato coperto che venivano sempre e quando facevano le feste mi chiamavano a casa loro per portare la porchetta. E davvero ne ho fatte tante anche per le feste private. Era bello anche quello.- Il cliente tipo: sono più donne o uomini? Diciamo 50 e 50. La mattina gli uomini comprano più spesso il panino, il pomeriggi le donne, che la acquistano per la cena, soprattutto in estate. – Lei ha avuto tanti riconoscimenti e l’hanno chiamata anche dall’estero. Volevano la mia porchetta a New York, ma come gliela mandi? Il segreto è la freschezza, sempre. Poi mi volevano in Germania, e mi avevano offerto un sacco di soldi per farmi lavorare lì. Ho partecipato a un sacco di sagre anche fuori regione, a San Severino Marche, a Campli in Abruzzo e ho vinto anche sfidando 80 colleghi.- Che consigli darebbe a un giovane che oggi vuole fare il porchettaro? Il lavoro di un artigiano della porchetta è faticoso. Lavorare il maiale, in laboratorio poi nelle postazioni, stare al freddo o al caldo, tutti i giorni, diciamolo, è parecchio dura. Però stare a contatto con la gente, conoscerne i lati positivi e anche quelli negativi, stare al pubblico, ti fa amare tanto questo mestiere anche se richiede sacrifici.
Il profilo
UN MESTIERE NEL CUORE La data di inizio di questa lunga avventura c’è, ed è il 19 marzo 1963, quando
Luigi Lunghi, che aveva già la licenza da norcineria, incontrò un vecchio porchettaio che gli chiese
se voleva lavorare con lui. E da lì il viaggio non è mai finito, come l’amore verso la porchetta che Lunghi
confessa di non aver mai abbandonato: “Io la mangio da sempre quasi tutti i giorni”.
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