ARANCIA MECCANICA

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Un lungo iter giudiziario Dalla ricettazione all’omicidio
 
PERUGIA — Lui, Sergio Marchetti, 44 anni, non c’entra con la storia dell’omicidio di Luigi Masciolini. Dal 2002 infatti è detenuto con condanne ormai definitive. Un bel malloppo che sfiora i trent’anni di reclusione.
Altrimenti, a guardare i suoi precedenti, a tutti sarebbe venuto in mente di dare un’occhiata almeno al suo alibi per quel maledetto 26 settembre 2004. E invece niente: detenuto. Eppure — secondo la ricostruzione di procura e carabinieri — a orchestrare una notte da «Arancia Meccanica» sarebbero stati tre nomadi italiani, due dei quali qualcosa con Marchetti hanno a che vedere. Uno perchè è suo cognato, l’altro poteva diventare suo genero. Niente di più che un’indiretta parentela. Forse gli investigatori sono partiti da lì: le condanne per cui è detenuto Marchetti, prima conosciuto solo come ricettatore, ricordano quello che è accaduto a Ospedalicchio. Il primo fatto avvenne a Corciano nel novembre del ’98 quando Marchetti con la complicità di due sardi — secondo la sentenza di condanna — pestarono e rapinarono una coppia di notai a Corciano. I tre suonarono al campanello della villa, riuscendo a farsi aprire con uno stratagemma. Con il volto coperto da calzamaglia e tutti armati di pistola costrinsero i coniugi ad aprire la cassaforte. Si impossessarono quindi di denaro contante e di preziosi per un valore complessivo di 150 milioni di lire. Prima di fuggire legarono le vittime con dello spago. Per quel fatto Marchetti venne condannato a dieci anni di reclusione. A questa si andarono ad aggiungere gli undici anni per la rapina, finita nel sangue del parroco di Cordigliano, don Giuseppe Valigi, 81 anni. In quell’occasione agirono in tre o quattro. Entrarono nella canonica sfondando una porta secondaria. Don Giuseppe, 81 anni, e la perpetua sua cugina stavano dormendo. Prima di fuggire con il bottino — appena un milione di lire — i malviventi avevano colpito più volte il prete e la donna. Don Giuseppe venne ricoverato in condizioni disperate in ospedale e nel dicembre del 2000 — dopo oltre un anno di agonia — morì. A Marchetti nel frattempo arrestato dalla polizia venne contestato l’omicidio. Ignoti restano invece i suoi complici. Ma lui in tutte le udienze si è sempre dichiarato innocente.
E.P. 



RAPINA FINITA NEL SANGUE


Bruno Albini intercettato mentre parla del delitto con un parente 
 
«Confessione» in diretta

 
 di Erika Pontini
PERUGIA — Quasi una «confessione» in diretta. Disturbata dai rumori di sottofondo di una stanza colloqui di un carcere, «sporcata» dalle voci che si sovrappongono. Dalle parole di due parenti che nemmeno immaginano di essere ascoltati dai carabinieri.
E invece la chiave di volta per il fermo dei tre giostrai accusati dell’omicidio di Luigi Masciolini, 86 anni pestato a sangue per fargli confessare un bottino che non c’era, è arrivata da una cimice. Una microspia che gli investigatori del reparto operativo del comando provinciale di Perugia avevano piazzato nel carcere di Terni. Nella stanza riservata agli incontri tra familiari.
Gli investigatori hanno aspettato intere settimane nella speranza che Bruno Albini, 33 anni, originario di Perugia ma residente a Città di Castello andasse a trovare il cognato detenuto da tre anni, Sergio Marchetti. Un nome che dice parecchio a poliziotti e carabinieri. Hanno sperato che proprio da lì potesse venire fuori qualcosa di buono per la loro indagine. Probabilmente erano già sulle tracce della presunta banda che ha agito quella notte terribile. All’epoca vennero scandagliate tutte le telefonate che agganciarono il ripetitore più vicino.
Già sapevano dove cercare Albini, Thomas Poropat, 23 anni e Dante Hemig di 45. Già immaginavano l’esistenza di un basista.
Forse li seguivano, forse li ascoltavano da tempo. Cercando nelle loro parole solo conferme a quello che già era il costrutto investigativo. E cioè che i tre sarebbero andati a casa di Masciolini, in una modesta abitazione di Ospedalicchio per cercare un tesoro. Una cassetta di metallo che effettivamente l’anziano pensionato custodiva nel fienile, trovata solo dopo, dai carabinieri, quando ormai una rapina era finita nel sangue. Lì dentro c’erano appena 600 euro, mentre i banditi se ne erano andati con qualche centesimo in più e cioè 800 euro. Il teorema è stata sostanzialmente confermato da quella «confessione» involontaria. Albini infatti avrebbe parlato di quel fatto al parente, avrebbe addirittura aggiunto che lui non avrebbe voluto arrivare a tanto. Che non dovevano legarlo — Masciolini ndr. — in quel modo. Avrebbe parlato di un bottino di circa 2 milioni di vecchie lire.
D’altronde nessuno ipotizzava una cimice: Albini dopo oltre un anno si sentiva al sicuro e Marchetti era dietro le sbarre per lo stesso identico reato. Un’altra rapina finita nel sangue. Stavolta di un parroco.
E invece i carabinieri — diretti dal pubblico ministero Manuela Comodi — avevano visto giusto facendo diventare Marchetti un involontario collaboratore.
Pochi giorni dopo la registrazione, quando tutti i pezzi del puzzle si sono incastrati, i carabinieri hanno eseguite i fermi. A Prato, Chiavari e Perugia dove è stato fermato Albini. Quest’ultimo, davanti al gip del tribunale di Perugia, Claudia Matteini, non ha parlato. Ha declinato le generalità, ha detto di essere disoccupato e poi si è chiuso in un ostinato silenzio. «Faremo ricorso al tribunale del Riesame», hanno aggiunto i legali, gli avvocati Gianni e Eugenio Zaganelli dopo la convalida del fermo e l’emissione di una dettagliata ordinanza di custodia cautelare a suo carico. 
 
 



 LE REAZIONI La soddisfazione del sindaco di Bastia dopo l’operazione 
 
«I fermi, un successo»

 
BASTIA UMBRA — «Il fatto che si sia già riusciti a individuare i responsabili di questo efferato delitto dimostra l’impegno e l’efficienza delle forze di polizia che operano nel nostro territorio». Il sindaco di Bastia Umbra, Francesco Lombardi, non nasconde la sua soddisfazione.
D’altra parte la tragica rapina e la barbara uccisione di Luigi Masciolini, nel settembre dell’anno scorso, turbarono non poco la cittadina che amministra. Bastia Umbra, dopo i tragici fatti di Ospedalicchio, si ritrovò a doversi confrontare con una ferocia mai conosciuta prima e a fare i conti con l’idea di non essere più, forse, quell’isola felice che tutti credevano fosse. Adesso i tre fermi effettuati dai carabinieri tranquillizzano molto il sindaco Lombardi: «I militari — dice il primo cittadino — mi hanno puntualmente informato sull’esito delle indagini, che sono state condotte in tempi molto rapidi, considerando anche la complessità della vicenda».
Lombardi ricorda le drammatiche ore appena successive alla scoperta del delitto e della violenza usata dai malviventi ai danni dei coniugi Masciolini: «Un fatto molto grave, che aveva destato profonda impressione tra la popolazione, per fortuna, comunque, isolato. Il fatto che si sia già riusciti a individuare i responsabili di questo efferato delitto — commenta ancora il sindaco Lombardi — dimostra l’efficienza delle forze dell’ordine che, attraverso attività di intelligence e contando su una strumentazione scientifica sofisticata. Attività, dunque altamente specializzata e professionale, alla quale gli enti locali, con le proprie polizie municipali sono pronte a dare saupporto».
Un’indagine, insomma, che ha contentato tutti e sui cui sviluppi i carabinieri non si pronunciano, anche se sembrano evidenti.
«A tutti gli operatori delle forze dell’ordine — conclude il sindaco di Bastia Umbra — vanno il plauso e il ringraziamento della città che amministro, nella consapevolezza che il coordinamento sul territorio, a suo tempo concordato e pianificato con il prefetto, sta dando i positivi risultati auspicati».

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