Intervista con l’attrice domani in scena all’Esperia di Bastia


Andrà in scena domani sera, al cinema teatro Esperia nell’ambito della stagione teatrale del Comune di Bastia Umbra, lo spettacolo che Monica Guerritore ha voluto dedicare ad una delle figure femminili più complesse e al tempo stesso più note della storia: Giovanna D’Arco.
Traendo i testi dagli Atti del Processo, dal testo di Maria Luisa Spaziani e dal De Immenso di Giordano Bruno, l’attrice ha voluto portare in scena un personaggio che è simbolo del desiderio di libertà, totale ed assoluta, del sogno e dell’utopia. Lo spettacolo è nato per il Festival del Teatro Medievale di Anagni ed è stato rappresentato lì per la prima volta, nella corte della Cattedrale.
“Mi era stato chiesto qualcosa che avesse a che vedere con il medioevo” racconta Monica Guerritore “e dato che Giovanna era lì che aspettava di essere materializzata…Sono andata a vedere i luoghi e mi hanno impressionato. Poi ho saputo che proprio lì era nata l’Inquisizione e quindi vedere uscire Giovanna uscire dalle mura (ho messo solo due o tre piccoli proiettori) da un senso della forza di quella figura evocata che comincia a raccontarsi.”
Facendo un riferimento alla natura del medioevo, un’epoca per molti aspetti molto vicina alla nostra, la sua Giovanna d’Arco è una figura ‘storica’ oppure è un ponte tra le due epoche?
“Questa ‘esperienza’ che si ripete ogni sera, perché non è una regia, non è uno spettacolo ma è un esperimento in assoluta libertà, ha anche molta forza nell’impatto visivo, nelle proiezioni che prendono completamente il palcoscenico con le immagini di Dreyer, però c’è anche Martin Luther King, Che Guevara, c’è il ragazzo che ferma il carro armato a Tien An Men cioè il rimando alla nostra immaginazione dei grandi utopisti.”
Lo spettacolo è stato rappresentato anche in una discoteca a Milano, ai Magazzini Generali. E’ andato alla ricerca di una platea giovane?
“Sì, verso tutti quei posti che abbiano la capacità di raccogliere forza. Perché qui c’è la libertà di non avere il legame con le scenografie, con i costumi, con le compagnie ricche che girano con i camion. E questo è importante per me perché è come se cominciassi a camminare ora, come se avessi undici anni, no, anzi, due! E’ lì, in mezzo a noi, ha un pantalone e una canottiera, e poi c’è un’armatura che indossa, che lì si anima attraverso le immagini, attraverso le musiche, che sono molto libere. Nel momento in cui lei viene ferita ed è agonizzante parte l’ultima canzone di Freddy Mercury scritta prima di morire e c’è in me e nelle persone un rimando immediato ad una morte e ad una vita, pure quella, breve e luminosa.
In che termini si distacca Giovanna D’Arco dalle altre sue interpretazioni femminili?
“Si discosta moltissimo, nel senso che è come se un periodo di racconto che mi prendeva fosse finito. Perché in fondo l’interprete è sempre quello che dice: dove mi rispecchio di più? E allora poteva essere Carmen, Margherita Gautier o Madame Bovary. La figura femminile in questi anni è stata raccontata male dai mass media, come se tutto fosse molto stupefacente, perfetto, chirurgicamente corretto, e allora a me interessava molto tirare fuori le crepe del femminile. Poi a un certo punto questo si è chiuso perché è venuta fuori la necessità di raccontare l’esperimento del divino, quell’altro che c’è in noi, che non è solo il rapporto con l’altro sesso ma è il rapporto con la voce, con la chiamata, con l’utopia. Con Einstein, con Che Guevara, con Giovanna D’Arco. Queste forze che urlano libertà da tutti i pori, che abbattono paletti e dogmi.
Giulia Silvestrini

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